Immagina di essere alla domanda decisiva di un quiz televisivo. Il presentatore ti chiede: «Qual è la sciarpa più morbida, più leggera e più costosa del mondo?». Cosa risponderesti?
La risposta è shatoosh! No, non ha nulla a che vedere con la tecnica per schiarirsi i capelli in voga qualche anno fa. Si tratta di una lana pregiatissima che affonda le sue origini in una tradizione secolare proveniente direttamente dall’Estremo Oriente.
Tradotto letteralmente, “shahtoosh” significa lo scialle dei re. La lana shahtoosh viene ricavata dalla capra Chiru, la rarissima antilope tibetana che vive sugli impervi monti dell’Himalaya. A renderla celebre fu a metà del XVI secolo l’imperatore Akbar, sultano dell’Impero Moghul.
Il monarca si innamorò perdutamente della delicatezza e della finezza di questo tessuto, tanto da renderlo un must trai i capi di abbigliamento dei suoi cortigiani e tra quelli di tutti i sultanati vicini. Le pashmine shahtoosh venivano ricamate rigorosamente a mano da sarti esperti per poi essere tinte esclusivamente con colori naturali derivanti dalle erbe.
Le caratteristiche della lana shahtoosh sono a dir poco eccezionali. Basti pensare che il manto permette alle antilopi tibetane di sopravvivere nelle steppe tibetane ad oltre 5000 metri di altezza e con temperature capaci di scendere in inverno fino a meno 40 gradi sotto lo zero.
Nonostante la notevole resistenza termica, il pelo della lana shahtoosh è addirittura 5 volte più fine del capello umano. Il risultato finale è quindi una sciarpa leggerissima, ma in grado di proteggere dalle temperature più rigide e trattenere il caldo come nessun altro tessuto al mondo.
La produzione dei tessuti in shahtoosh non avviene seguendo la modalità classica, ovvero la tosatura dell’animale. Essendo un animale selvatico vive allo stato brado e di conseguenza viene cacciato per ottenere il pregiato piumino.
La leggenda vuole che i sarti raccogliessero la lana shahtoosh direttamente sui cespugli contro i quali le antilopi si strusciavano per cercare ristoro dal caldo nei mesi estivi. In realtà sappiamo bene che a Srinagar, il più grande centro di produzione mondiale di tessuti shahtoosh situato nella valle del Cashmir, vengono sacrificate almeno due-tre antilopi per la produzione di ogni singola sciarpa. Infatti, la specie tibetana fornisce appena 150 grammi di lana grezza.
Tuttavia, fino agli anni ’60 del secolo scorso venivano lavorati solamente una trentina di chilogrammi di lana all’anno. Con la globalizzazione invece tutto è cambiato. Le pashmine in shatoosh sono iniziate a diventare celebri e richiestissime in Occidente. L’aumento della domanda ha fatto schizzare alle stelle il prezzo dei lavorati e contemporaneamente ha portato sull’orlo dell’estinzione le antilopi tibetane.
Sul finire degli anni ’90 per coprire le richieste erano necessari ben 3.000 chili di lana shatoosh all’anno! L’aspetto paradossale è che già a partire dal 1975 la Convenzione sul commercio delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate (CITES) aveva inserito l’antilope tibetana tra le specie a rischio d’estinzione e vietato la loro vendita all’estero.
Nonostante ciò, soprattutto a causa dell’attività illegale dei bracconieri, sparì circa l’80-90% degli esemplari nel giro di pochi decenni. Oggi per fortuna i controlli nell’area tibetana da parte delle autorità cinesi si sono intensificati ed il numero di antilopi tibetani è pressoché raddoppiato rispetto alla crisi vissuta sul finire del secolo scorso.
Allo stesso tempo si sono irrigiditi i controlli e le sanzioni a livello internazionale sui trafficanti di lana shahtoosh, tanto che è ormai praticamente impossibile trovare le pregiate pashmine anche sottobanco.
Piccolo consiglio per i viaggiatori in India e nelle zone del Cashmir: diffidate assolutamente dai commercianti che tentano di vendervi di nascosto dei prodotti realizzati con la lana shatoosh. In primis è un’attività illegale ed inoltre, nella maggior parte dei casi è merce contraffatta mischiata per il 50-70% con lane meno pregiate.
Insomma, la sciarpa shatoosh è ormai introvabile, in quanto illegale. Va anche sottolineato che i costi erano a dir poco esorbitanti: una pashmina poteva costare fino a 27.000 euro!
Quindi, sorge spontaneo chiedersi: esiste un’alternativa con caratteristiche simili allo shahtoosh? La risposta è “sì”! Negli ultimi anni l’alta moda ha strizzato sempre più l’occhio all’ecosostenibilità promuovendo metodi di produzione ad impatto zero.
Tra questi ha preso piede anche quello che potremmo definire Eco-shatoosh. L’obiettivo è quello di replicare le stesse caratteristiche delle pregiate pashmine rispettando anche le antiche modalità di lavorazione (escludendo ovviamente l’utilizzo delle capre Chiru!).
Al posto della lana shatoosh viene utilizzato un cachemire puro extra-fine. Questo, essendo molto fine e poco resistente, viene associato ad una fibra idrosolubile e successivamente tessuto al telaio. Al termine della lavorazione il tessuto ottenuto viene sottoposto ad un lavaggio per eliminare le fibre idrosolubili. Con questo piccolo escamotage è così possibile realizzare un filato pregiato tanto leggero quanto resistente che rispecchia le caratteristiche uniche dello shatoosh.
L’Eco-Shatoosh, oltre ad essere sostenibile e a salvaguardare le nostre amate antilopi tibetane, non è commercializzato ai prezzi da capogiro che caratterizzavano la lana originale. Quindi, quanto costano le pashmine in versione ecologica?
Il prezzo finale dipende molto dalle fantasie e dalla grandezza del tessuto. Tutto sommato, i costi si aggirano tra i 400 e i 500 euro a prodotto. Decisamente un risparmio notevole rispetto agli originali!
La storia dello shatoosh non è l’unica che troverai qui sulle pagine dell’Atelier della sciarpa: c’è un mondo di filati da scoprire!